Qual è lo stato di salute della formazione professionale in Italia? Gli ultimi dati pubblicati a dicembre 2022 dall’Istituto Nazionale di Statistica (ISTAT) fotografano una crescita significativa.
L’indagine, condotta nel triennio 2018-2020, ha infatti evidenziato come – rispetto alle rilevazioni del 2015 – l’attività di formazione professionale nelle imprese attive è cresciuta di un +8,7%.
Il 68,9% delle imprese attive in Italia con almeno 10 dipendenti ha dedicato ore alla formazione. Una percentuale che sale al 90% per le grandi imprese con 250 o più addetti.
In questo articolo, esamineremo approfonditamente i risultati principali di questa indagine, fornendo un quadro generale dell’andamento della formazione professionale nel nostro paese.
Risultati dell’indagine ISTAT sulla formazione professionale in Italia
I risultati dell’indagine dell’ISTAT riguardante la formazione professionale in Italia sono molto incoraggianti. Nel 2020, il 68,9% delle imprese attive nel nostro paese con almeno 10 dipendenti ha investito nella formazione dei propri lavoratori. Questo dato diventa ancora più impressionante per le grandi imprese (250+ dipendenti), dove la percentuale supera addirittura il 90%.
Dunque, oltre quattro milioni di lavoratori hanno avuto l’opportunità di partecipare a corsi di formazione e altre tipologie di attività formative (es. convegni, seminari, workshop, formazione in situazione di lavoro ecc…), ovvero il 44,6% degli addetti complessivi, con una leggera differenza tra uomini e donne. E questo segna un aumento del 10% rispetto al 2015.
Quali sono stati i settori con una percentuale maggiore di imprese formative?
- Finanza e assicurazioni (96,4%);
- Fornitura di elettricità, gas, acqua e gestione rifiuti (83,7%);
- Apparecchi meccanici, elettrici, elettronici (83,7%);
- Servizi ICT (82,0 %)
- Costruzioni (82,1%).
Sotto la media nazionale, invece, i settori dell’Industria della carta, cartone e stampa (54,1%), i Servizi di alloggio e ristorazione (48%) e il settore del Tessile e abbigliamento (47,6%).
Si tratta di attività formative di vario tipo, ovvero corsuale e non, e con diverse modalità, come vedremo meglio nel prossimo paragrafo.
Corsi di formazione in Italia e non solo: le nuove modalità di erogazione
La pandemia del 2020 ha rappresentato una spinta accelerativa decisiva alla digitalizzazione delle aziende e ciò ha incluso anche l’introduzione di nuove modalità di formazione, affiancate a quelle più tradizionali.
La metodologia frontale si è confermata come tipologia di formazione privilegiata (59,5% delle imprese), ma ciò di interessante che emerge, è che l’utilizzo di attività formative diverse dai corsi nella metà delle imprese ha registrato un +10% rispetto al 2015.
La formazione a distanza, per esempio, è stata adottata da quasi un terzo delle imprese, con particolare rilevanza nelle regioni del SUD e delle Isole.
Altre modalità di formazione utilizzate dalle imprese italiane sono state:
- formazione sul posto di lavoro;
- accompagnamento e rotazione delle mansioni;
- partecipazione a convegni, seminari e workshop (anche in formato online durante la pandemia);
- partecipazione a circoli di qualità.
Le imprese italiane hanno affrontato importanti cambiamenti durante il periodo 2018-2020, concentrandosi sulle tecnologie dell’informazione e della comunicazione. Circa il 43,4% di loro ha risposto alla crisi pandemica apportando significative modifiche.
E la formazione a distanza (FAD) è stata fondamentale in questo contesto, con oltre il 70% delle imprese che hanno innovato i processi e le tecnologie offrendo attività formative.
Settori come le ICT e i servizi professionali si sono distinti per le trasformazioni più significative. Ma, nel complesso, durante la pandemia, gran parte delle aziende italiano ha sfruttato gli strumenti digitali per l’aggiornamento delle competenze e promosso nuove organizzazioni del lavoro.
La formazione professionale in Italia: su quali competenze investono le imprese?
Le competenze richieste nel contesto lavorativo stanno subendo una profonda evoluzione, e la pandemia ha amplificato l’urgenza di adattarsi a nuove situazioni. Nel 2020, un terzo delle imprese ha ammesso che una parte dei propri dipendenti non possedeva le competenze necessarie per svolgere il proprio lavoro al livello richiesto. Questo deficit di competenze colpisce addirittura due terzi delle unità nelle grandi imprese.
Tra le skills che necessitano di miglioramento e su cui sarà prioritario investire nel futuro, le competenze tecniche-operative emergono per la loro rilevanza, rappresentando il 35,5% delle necessità. Tuttavia, al loro fianco si pongono anche soft skills che rivestono un ruolo cruciale e strategico nell’affrontare i repentini cambiamenti attuali:
- Manageriali e gestionali (dal 22,8% delle imprese in media, a oltre il 50% delle grandi imprese);
- Informatiche professionali (24,1%);
- Gestione della clientela (32%);
- Lavoro di squadra (28,5%);
- Problem solving (25,2%)
- l’autogestione dell’attività lavorativa (18,9%):
- la capacità di generare idee originali (6,9%).
Queste ultime due sono una novità assoluta, rilevate per la prima volta nell’edizione 2020, e segno dei tempi che stanno cambiando.
In conclusione, l’indagine ISTAT evidenzia un positivo stato di salute della formazione professionale in Italia. Le imprese hanno compreso l’importanza di investire nelle competenze dei propri dipendenti, per riuscire ad affrontare i rapidi cambiamenti del mercato e a gestire le sfide del futuro, per garantire il successo dell’azienda. Per rimanere competitivi, dunque, è fondamentale investire nella formazione professionale.
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